Nel silenzio richiesto, e in silenzio costretta a non pronunciare parole, come bambina del “me lo ero già detto” o del “tanto lo sapevo già”, senza fare il nome, perché omertà di sentimenti rattrappiti ed il tutto racchiuso in un bracciale di legno che non trasmette più sensazioni che dà onde affette da rancore e che non era mai stato quello il suo compito.
Sterile messaggio al cellulare, sterile per contro di quel che era, delle sere ripetutamente uguali senza andare da nessuna parte che non sia con noi.
Estate. Ti ho trovato. Un bacio e l’errore è una parola così lontana.
E lontana io, che a forza di errori autogiudico e non posso pensare all’uno e all’altro e il pagellino settimanale, giornaliero, si nutre di quegli errori e mi rende così bassa, per una cosa che era così alta.
Oh, scrivi cose così strane, oh, scrivo cose che non arrivano a chi dovrebbe, a chi di parole era stanco, di gesti striminziti e avvizziti e di fiori di plastica nelle tasche e di pistacchi e di bottiglie di vino che invecchiano e perdono senso sul sedile posteriore a roteare in solitudine, ecco come un altro oggetto perde significato fuori dal suo tempo.
E lettere, invisibili, sempre.
Ma qualcuno ha deciso di non avere parole per me, né parole né altro che chissà quante ne ha dovute ingoiare.
Sempre tornano i conti, di sportelli sbattuti e di gesti ritratti.
Come sappiamo fare-farci del male.
Rancore ci mandiamo, ecco cosa, che qualunque telefonata oggi o domani trasmetterebbe questo, ecco perché decide di ignorare il mio rancore.
Quando dicevo che una cosa bella si stava tramutando in una cosa brutta, o che riuscivamo a dare il peggio di noi intendevo proprio questo.
Non per questo ho soluzioni nelle tasche, anche perché nelle tasche porto gusci vuoti di frutti esotici
Anche perché non posso sapere cosa porti tu nelle tasche, oltre ai gusci ho anche ricordi, anch’essi vuoti, svuotati dalle onde rancorose.
Ed ecco come i momenti cambiano nella memoria ed il bello perde forma. Tre giorni Tre.
Prolungati nel tempo e tre giorni tre sfumano in mesi diluiti dal silenzio.
Il modo in cui lo chiamavo e il rumore che mi faceva sentire era di cuore che si scioglieva per poi ricomporsi per riacquistare dignità senza difesa, solo per meglio camminare.
Corro per non far accendere la luce fra i cancelli. Cammino di notte e immagino di esser sola che lui era il mio amico immaginario “E se ti avessi inventato?” così perfetto lo avrei inventato… e senza fine, senza fine mai… che le donne in queste cose vogliono sempre uscir fuori pulite e che di pulito qua intorno restano solo i bordi delle pagine del mio taccuino.
Ma provo rancore per il tuo silenzio e vergogna per il modo in cui incassi colpi e salti a piè pari i punti della situazione, ignorare il punto, guardare altrove tappandosi le orecchie, ma non si hanno abbastanza mani per coprire tutti i sensi, e quello del “sentire” come lo copri? Che anche senza quel bracciale qui arrivano onde lo stesso, forti e impetuose che ti chiedo io di infrangerle, di fare qualcosa, di smetterla, di buttarmici dentro, di perdermi nei ricordi puliti e non in quelli inquinati del dopo, che non esco pulita da nessun gioco mai.
Che mentivo nel silenzio, che ho sempre mentito. Neanche questo sai, neanche questo hai voluto sapere.
odiami per non cadere pronto
nell'amore che non voglio…

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