È da giorni che è domenica.

“Quando capita”.

Io credevo potesse essere intenzionale, io almeno lo avrei reso tale.

Ma i punti di vista, si sa, sono diversi.

Così io guardo verso di te e posso prendere il vento in faccia per ore mentre pedalo, non sono capace oggi di uscire senza direzione, mi spaventa andare in giro, l’unica cosa certa è la mia distrazione.

Sai, mi ha detto di non avere paura e mi ha preso per mano, ma il timore era nell’aria, quando sono da sola è difficile che apra gli occhi e che voglia essere altrove, tutt’al più mi viene voglia di essere piccolissima, minuscola, non vista… come quando sparivo nello specchio ma mai altrove.

Con lo specchio non ci ho più giocato, mi si blocca lo stomaco se ci penso.

Sono tornata a casa, c’era una tisana di frutti rossi, ieri per gioco ho espresso un desiderio ed era rivolto alla volontà di studiare, non ho specificato cosa, così oggi mi sono ritrovata ad aggiornare il mio erbario, un’altra domenica festeggerò.

Penso alle uscite in grande stile, pochissime in verità, quella canzone dei Marlene Kuntz, L’uscita di scena, che mi diceva di ascoltare, voleva dire di ascoltarla che dentro c’ero io, che pensava al modo in cui andavo, a me ha sempre fatto schifo il modo in cui me ne andavo, solo una volta ci ho scovato l’orgoglio, per il resto sono frantumi e gocce dai vasi… poca roba per entusiasmarsi.

Ringrazio per le formalità.

Sotto alla quasi pioggia ho cercato con la mente le parole per non dire, poi mi sono persa ed ho chiesto se potevo annuire per togliermi di mezzo la risposta, ridevano ma vedevo il suo sguardo preoccupato, ecco…

Io non voglio che si preoccupi e non voglio neppure dovermi preoccupare che non vale la pena…

Pare che sia lanciato verso il volo, non ha davvero paura di nulla.

Io si, mi fermo infatti, ondeggio e ci trovo un’infinità di vita nel movimento incerto, mi faccio tenerezza, non ho parole che ricamino i ritagli con decoro.

Intrecciavo i miei fili di cotone, prima ancora avevo i ferri e volevo fare con la lana la sciarpa più lunga del mese ma mi stanco presto io. Due mesi e mezzo dicevo a quattordici anni, me lo aveva fatto notare quella che voleva farmi parlare con gli sgabelli.

Ora che faccio con queste domeniche?

Portami quel sole dove dormivo, inutile il ricordo, qua tocca pedalare ancora più veloce per allontanarmi da certi petali e silenzi e sguardi e distanze, allora cambio l’indirizzo sulla busta e mi autospedisco i miei stessi pensieri.

Volevo dirmi di come volto le spalle quando una persona dice cose che non mi piacciono, volevo ricordarmi di certe reazioni di rabbia e segnarmi il modo in cui stringevo le lenzuola con le dita, volevo ripetermi certi ritornelli e rivedere il modo in cui eri importante, sottolineavo le parti in cui le cose cambiano per non dimenticarlo mai e per dimenticarlo al prossimo nome, volevo ridere leggendo della presunzione e del voler dare a tutti i costi e senza limiti e di tutte le attese giustificate e di come sono brava a chiudere gli occhi e a non rompere le scatole, ho provato a segnarmi i giorni ma non sono stata capace di ricordarli così ho allegato solo foto da cantare daccapo.

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