“Volo volo volo con i piedi nell’acqua e un caffè nella pancia per mangiare con te”

Ascolto una canzone che non conoscevo dei primissimi anni 90, è incredibile quanta tristezza in un testo e quanta serenità nell’interpretazione, una strana contrapposizione.

 

Ho pianto anche perché volevo assolutamente rientrare a casa, avevo bisogno del mio cane peloso che mi condizionasse gli orari, dell’essere raminga nel frigo, del continuare i sogni per tutta la mattinata senza che nessuno facesse rumore per svegliarmi come un’anti-noia.

 

Mio fratello ha dimenticato di venirmi a prendere, lo giustifico perché è innamorato, la cosa assurda è che non c’era davvero nessuno che tornasse a Roma quella notte, così ho dovuto restare una notte ancora ed è stata la peggiore, volevo andarmene di nascosto e invece ho dovuto disperarmi come una scema, svegliarmi al mattino con gli occhi gonfi, aprire gli occhi e vedermi distante, spostarmi ancora un po’ più lontano nel letto per non essere sfiorata neppure per errore, che non entrasse neppure una piccolissima cellula sotto la mia pelle, che non c’era nessun amore da passarsi, che non infrangerai il mio guscio trasparente con la tua cazzo di corazza ferrosa, mi faccio male toccandomi, inciampo sulle mie paure, non voglio far entrare neppure le tue scuse nelle mie orecchie, poi cerco quotidianità nel mio modo artistico-autistico di dirmi che va tutto bene e aspetto che ti alzi per preparare il caffè, infine posso sedermi sul letto e stropicciarmi gli occhi.

 

Ho viaggiato con Galileo e mi ha fatto tenerezza vedere come ci si innamora sempre, a tutte le età, come si allontanano le persone, come ci si aspetta d’esser allontanati, come si sta sulla difensiva, come sa immaginare, come tenta la consulenza perché era chiaro il mio voler parlare, come ci si confida pur non conoscendosi affatto, ho capito che il primo passo non è dire d’essere in una gabbia – dorata o non – ma è capirlo, che a dirlo son bravi tutti, poi ha detto una cosa importante e cioè che probabilmente lui avrà dieci motivazioni nella sua testa, dieci pensieri per dirmi perché le cose non funzionano ma che la motivazione reale non vuol guardarla e forse non la vedrà mai, ho pensato al mio imputarmi su alcuni concetti, sono sempre i soliti dieci e forse io mi sto discolpando pensando di non aver nulla da capire perdendo un’occasione per capire invece qualcosa di me.

 

La rabbia che provo è la distanza che prendo da te, le cose che dico alle amiche sono il sintomo dell’alleggerirti d’importanza.

 

L’idea di non poter tornare indietro lo blocca, ha l’orgoglio maledetto del non poter sbagliare, del non tornare indietro neppure se ha commesso l’errore, però chiede scusa a volte quando mi ferisce quindi non capisco perché non sa lasciare e tornare indietro a dire “scusa, m’ero sbagliato”, così mi trattiene, per paura di non saper tornare, ma intanto non mi lascia andare.

Se nelle passioni fossimo meno affini sarebbe più facile lasciarmi andare, mi piacerebbe allora entrare nel tuo letto come un ricordo tutte le volte che andrai a dormire per ricordarti dove hai sbagliato senza la capacità di chiedere scusa, mi piacerebbe avere un compagno-stella-fissa o una compagna-anima-di-stelle accanto a me e poterti dire che non mi dispiace d’esser felice, che le scuse non alleviano più nulla e che quindi suonano come un fruscio di foglie poco importante in una notte ventosa.

 

Ho riempito la credenza pensando a cosa preparare per te, senza l’entusiasmo dello scorso anno, senza la voglia di vedere il tuo sorriso ma sapendo che se non avessi trovato nulla al tuo rientro sui tuoi fornelli sulle mie mani avrei visto solo uno sguardo scocciato, come se coppia significasse diritti e doveri, come se fossimo una coppia vera. Eppure ho inventato qualcosa da mangiare anche con il nulla di cui ti circondi, ho chiuso due sacchetti di rifiuti obbligandoti a buttarli, ho pulito la tua cucina ed il tuo tavolo, ho buttato le rose e cacciato via gli insetti, ho urlato contro il ragno più grande che avessi mai visto e mi hai ringraziato per averti lavato i pavimenti.
Avrei avuto voglia di mettere ciotoline con sale grosso agli angoli delle stanze e fare l’ultima passata di straccio sul pavimento con acqua e olio essenziale di rosmarino e lavanda, come faccio per me, lo avrei fatto per te, poi ho represso l’ultimo slancio. Purificati e proteggiti da solo se ne hai voglia.

Non so farmi gli affari miei e mentre facevamo la spesa e tu decidevi cosa mangiare – per me è uguale – ti ricordavo che io me ne sarei andata il giorno dopo, senza sapere che avrei passato l’ultima notte lì, ma che forse potevi prendere qualcosa per te, mi sono sentita molto mamma in quella situazione e mi sono fatta una certa rabbia e tenerezza insieme, mi sono ricordata che a me ci penso io e che a te devi pensare tu.

Mi stupisco sempre di quanta poca organizzazione hai per la tua casa, di quanta trascuratezza per il tuo nido non appeso e di quanta invece ne hai nel tuo lavoro e di quanta ne hai avuta per noi quando sapevi crederci.

 

Amo troppo, che cosa? Troppo per chi?  L’amore che non meriti, hai detto.

Beh, dovresti sentirti fortunato e prendertelo invece di rompere.

Poi ti entro dentro e dopo il sorriso del cuore ti richiudi come se liquida ti fossi entrata troppo in profondità, troppo, oltraggiosamente bene.

Mi hanno detto che sono bella, altri me lo hanno detto, che spreco essere nuda nello specchio davanti al tuo letto mentre mi trucco.

 

A volte vorremo avere l’esclusività del dolore più forte, come bambini che si pavoneggiano inventandosi improbabili e avventurosi mestieri per i loro padri, solo che in più abbiamo del ridicolo nel nostro pavoneggiarci del dolore, solo a scriverlo penso "Non sai neanche che cos'è il dolore", tutti lo pensano, siamo egoisti e possessivi perfino del nostro dolore! Che ci sarà poi da addolorarsi?!

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